giovedì, Aprile 25, 2024
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DIEGO ARMANDO MARADONA, QUANDO SCOMPARE un MITO e l’UOMO in DIFFICOLTA’.

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Da fine novembre dell’ annus horribilis 2020, Diego Armando Maradona non è più tra noi.

Il Capolinea del Pibe de oro è arrivato al numero 60. Appena compiuti a fine ottobre. Un arresto cardiaco nella sua casa-villa della città di Tigre, Buenos Aires, ARGENTINA, ci priva di un mito con tanti chiari e scuri.  

E’ proprio questa la notizia che gli appassionati di calcio di tutto il mondo non avrebbero mai voluto sentire né leggere; notizia che impazza nel web da giorni e ruba l’apertura di tutti i Tg e compare sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo.

Per L’equipe francese “DIEU è MORS”, per il Washington post è scomparso l’imprescrutabile stella del calcio, per Pelè il mondo ha perso una leggenda; nella recente intervista al Clarins argentino, Maradona si confessava: “Sono molto felice. Il calcio mi ha dato tutto quello che ho, più di quanto avrei mai immaginato. E se non avessi avuto quella dipendenza, avrei potuto giocare molto di più.

Gli argentini e i napoletani sono scesi in piazza per il tributo alla loro maniera, e mentre i sudamericani festeggiano ballando, dolore e sgomento hanno colpito i partenopei che lo hanno ammirato, anzi venerato, dal 1984 al 1991 per ben 188 partite, nessuna delle quali uguale all’altra, impreziosite  da giocate uniche, irridenti, geniali e da ben 88 goal.

Una carriera da calciatore strepitosa, con tanti trofei conquistati (3 Campionati nazionali, 3 Coppe nazionali, 2 Supercoppe nazionali, 1 Coppa Uefa, 1 Campionato Mondiale Under 20, 1 Campionato Mondiale) e iniziata nel 1976 nell’Argentinos Juniors, proseguita per una stagione (1981/82) nell’amata squadra del Boca Juniors.

Sbarca in Europa da marziano per giocare nel Barcellona, e già nel 1994 viene strappato dall’ingegner Ferlaino, l’allora “presidentissimo” del Napoli, per far felice una città intera. Acuti, in campo, alti e bassi fuori. Nel 1994 deve lasciare Napoli, la sua Napoli, e  il Siviglia letteralmente lo strappò via dal golfo.  In Argentina gli ultimi scampoli di carriera: nel Boca Juniors dal 1995 al 1997 gioca ancora 30 partite segnando le ultime 7 delle sue 312 reti.

Autentico uomo-squadra, era amatissimo dai compagni di gioco, che con lui crescevano e per i quali aveva sempre parole di lode e di incoraggiamento;  coccolato dai Mister che gli permettevano di arrivare in ritardo agli allenamenti o di non allenarsi affatto, sicuri che in campo li avrebbe compensati con gli interessi di tanta generosità. 

Potremmo stare qui ore a raccontare giocate, storie e aneddoti di questo genio e sregolatezza del calcio moderno, come la irriverente ‘manina de Dios’ contro contro gli Inglesi a città del messico, anno 1986 ( partita anche politica, vista la rivalsa per la sconfitta dell’Argentina nella guerra delle Falkland del 1982) e sempre li, stessa gara,  la seconda, straordinaria, rete (la più bella del secolo scorso) dopo aver dribblato mezza squadra avversaria. E poi che altro? le emozionanti gare contro lo strapotere del Milan di Berlusconi, di Mister Sacchi e degli olandesi, la rivalità con i brasiliani, la stucchevole polemica con Pelé e i complimenti espressi al “romano de Roma” Francesco Totti.

Potremmo ricordare le interviste di Gianni Minà alla ricerca dell’uomo insito nel giocatore, e andare leggeri per non intaccarne il mito sulle sue debolezze di uomo dipendente dalla cocaina che gli costò anche un anno di squalifica.

Amico e stimato dal presidente dell’Argentina Carlos Saúl Menem, dal  leader cubano Fidel Castro e dal presidente venezuelano Hugo Chávez in un profluvio di dichiarazioni per nulla legate al calcio, ambiente che lo ha nutrito e gli ha dato la fama.

Questo fenomeno planetario, che si dichiarava di “sinistra” e che scendeva in campo con il tatuaggio di Ernesto ‘Che’ Guevara  sul braccio e che mai nascose avversione per George W. Bush, è stato coinvolto in diversi problemi con la giustizia americana e anche con il fisco nostrano per un’evasione di 39 milioni di euro, poi sanata all’italiana.

Quest’uomo dalla facile esternazione, nemico dei poteri forti e di Havelange (per quasi cinque lustri presidente della Fifa), da sempre bandiera della gente comune e povera, di cui ne incarnò proteste e aspirazioni per via delle sue stesse umili origini social. Battaglia mondiale condotta anche con il connazionale Papa Francesco. 

State certi che dispiacerà a tutti, anche ai ben pensanti sulle droghe e ai castigatori di eccessi, di non poter vedere mai più dal vivo il faccione di colui che uomo e semidio pagano, dotato di eccezionale talento, di un sinistro magico, continuerà per sempre a contendersi il primo posto nella classifica del più forti calciatori del mondo di tutti i tempi, in compagnia dell’argentino Di Stefano e del brasiliano Pelé.

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